F.1 GP SINGAPORE Appunti di viaggio tre anni di assenza e si sentono tutti

DI PAOLO CICCARONE PER AUTOMOTO.IT

Singapore, tre anni dopo. Il tracciato cittadino di Marina Bay non è certo di quelli indimenticabili; lo è il contorno di questa gara con il clima tipico della zona. Tornarci, dopo tanto tempo, vuol dire fare i conti col passato e ripartire da capo. Ecco perché in calendario si è messo questa trasferta che dal punto di vista professionale non aggiunge niente di più, ma andava fatta.

E così, preso il solito volo per Dubai e poi Singapore, si affronta la trasferta coi suoi problemi: classe economica, sedili sufficientemente comodi, mangiare invece in caduta libera. Anche i ricchi arabi piangono, a quanto pare, visto che se non sei in business class, il resto meglio portarlo da casa. Anche se, va aggiunto, il servizio a bordo è molto meglio rispetto ad altre compagnie. Solo che ci eravamo abituati troppo bene e quindi si nota la differenza. A Dubai l’aeroporto, a quell’ora, è una immensa distesa silenziosa, con pochi addetti e qualche passeggero in transito. Il resto dei voli parte la notte e dalle 20 fino alle 3 di notte, sembra quasi di essere in un film di fantascienza col silenzio totale.

UN URLO NEL DESERTO, JEAN ALESI CHE CI CHIAMA

Che viene rotto da urla che chiamano il mio nome: mi giro, vedo una figura che arriva di corsa e mi abbraccia. E’ Jean Alesi che arriva dalla Francia e va in Giappone a seguire la prima gara del figlio: “Dove vai? Singapore? Vieni in Giappone? Dai che ti aspetto!” e poi via di corsa verso il suo gate fra pacche e saluti vari. Due naufraghi nel mezzo del niente dell’aeroporto più grande del mondo. O quasi. Arrivano le tre di notte locali, si riparte con un altro A380 due piani pieno come un uovo.

Fra Singapore e Melbourne, c’è un gruppo di vacanzieri che tornano a casa. Con i loro pantaloncini corti, le camice mezze maniche e bianchi cadaverici perché nessuno ha preso l’abbronzatura. Il volo notturno è tutto un ballare sull’India e il golfo del Bengala, tanto che l’aereo fa delle deviazioni di rotta per evitare il peggio. Arriva la mattina, presto per il fuso orario, finestrini chiusi ma una sbirciata la si dà sull’oceano e sull’Indonesia da un lato e la Malesia dall’altro. Si arriva sopra Singapore, ma per il traffico aereo impossibile atterrare e quindi si gira in tondo per quasi un’ora. Stressante dopo 13 ore di volo e 5 di sosta a Dubai. Finalmente si arriva e lunga fila alla dogana. Qui il Covid fa ancora paura: mascherine FFP2 obbligatorie sui mezzi, metro e sui taxi, negozi e ristoranti, salvo per mangiare.

CAVALLETTE PER IL TASSISTA

La fila alla dogana coi controlli della dichiarazione, del famigerato green pass (senza non entri) una App per il tracciamento (che però dicono di non dover accendere) e infine si passa dopo l’ennesima foto e le impronte digitali. Subito dopo si apre un mondo: una foresta tropicale con una cascata d’acqua che finisce in un enorme imbuto che viene riciclata e rimandata in aria. Un effetto unico e stupefacente. Ed è l’ingresso dell’aeroporto, mica uno dei giardini botanici della città. Il tassista ogni tanto apre la scatoletta con il coperchio blu e sgranocchia. Sputacchia e sgranocchia. Guardiamo incuriositi e scopriamo che sono cavallette fritte e vermi enormi grigliati. A lui piacciono, paese che vai etc etc…

La foresta tropicale all’ingresso dell’aeroporto di Singapore

Si arriva in hotel, doccia e via a china town per vedere cosa offre. In apparenza non è cambiato niente rispetto a tre anni fa. Invece i negozi sono diminuiti, molti lavori in corso e edifici abbattuti, hotel destinati al pubblico diventati covid hotel con ambulanze che vanno e vengono. Il cambiamento più grande riguarda il divieto di vendere orologi o articoli firmati, che qui c’era il festival delle copie tarocche. Dieci anni di galera a chi commercia e vende certi prodotti…

E il controllo spasmodico della mail di benvenuto che dice testualmente: “Se stai male e non lo dichiari, una multa di 20 mila dollari e sei mesi di carcere che possono salire se infetti qualcuno“. L’ideale per stare tranquilli dopo che l’aria condizionata a palla dei ristoranti ti rintrona la schiena. Si va a mangiare da Chimay, una serie di ristoranti e locali di tutti i generi. Scegliamo un giapponese, con le pietanze da ordinare e cucinare sui carboni. Meglio non rischiare e quindi il fai da te è basilare…

Si va a dormire, ma la cosa strana è che non si è incontrato nessuno dei colleghi italiani. Infatti, a parte la troupe di Sky con gli inviati in pista, il resto latita. Eppure qualcuno fa lo scoop stando a casa. Segno che certe informazioni arrivano direttamente dalle fonti, e quindi una telefonata allunga la vita dell’inviato sul divano. Almeno stavolta la palma dell’unico inviato italiano in sala stampa non ce la toglie nessuno. Anche se poi la domanda è: ma chi me lo ha fatto fare? Vabbè siamo qui e dopo la prima sessione di prove si esce a mangiare qualcosa, perché il catering, per quanto migliore di altri posti, non invita.

Peccato che sotto alla Singapore Flyer, la ruota panoramica, abbiano chiuso tutti i ristoranti che c’erano in precedenza e l’afflusso di gente è limitato al minimo. Idem per lo zoo, chiuso a tempo indeterminato e per il giardino botanico, con gli accessi aperti ma senza tanta gente.

In pista le salette dei team sono a due piani, con un porticato dove ci sono le sedie e i tavolini ma appena fai per entrare, in certi team, ti arriva addosso la security per farti sgombrare. Eppure in TV sembra tutto così bello e Netflix ci parla di eroi e di un ambiente da favola. Sarà una serie di fantascienza, probabilmente, che però piace a qualcuno (anche il Trono di Spade aveva i suoi fans e si ammazzavano ogni tre per due in ogni puntata). Mentre si vaga alla ricerca di informazioni e parlare con qualcuno, un urlo lacera il paddock: “Charlesssssssssss”.

Una tifosa salta addosso a Leclerc per fare una foto, lui ride divertito e si fionda nel suo box alla Ferrari. Lei ha le scalmane, non può crederci: ha fotografato e visto il suo idolo dal vero. Effetto Netflix, quello che piace a questa F.1 e la mente continua a rimuginare la solita domanda. Ma cosa ci sono venuto a fare?

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