Amarcord: Michele Alboreto e quel 25 aprile di dolore. Ricordando un mito del volante

DI GIUSEPPE MAGNI TESTO E FOTO

Oggi Michele avrebbe esposto lo striscione dell’Atalanta per stare vicina a Bergamo colpita dal Covid 19. Era un grande uomo vicino ai deboli

 

Fine aprile. Fino ad un certo punto, il periodo coincideva con una bella festa, quella del 25, che ricorda un avvenimento storico molto importante, alla quale si partecipava tutti molto volentieri. Negli anni d’oro, questi erano i giorni della disputa della 1000 km di Monza, Trofeo Caracciolo, che aumentava a dismisura il dolce sapore della primavera entrata nel pieno del suo splendore, unitamente alla citata solennità nazionale che accomunava, nella gioia, un intero popolo. Quella festa, il 25 aprile, si celebra ancora oggi, ma non è più così lieta. La primavera stessa, torna sempre a rinverdire i prati, ma non è più così dolce. Da 19 anni, infatti, la data coincide con l’ultimo volo terreno di un grandissimo campione italiano di automobilismo: Michele Alboreto.

ALBORETO, CAMPIONE DI AUTOMOBILISMO, CAMPIONE DI UMANITA’

Campione italiano di automobilismo, campione mondiale di umanità. Michele Alboreto è una persona speciale. Questo è fuor di dubbio. Solo una persona speciale poteva coinvolgere, nella sua vicenda sportiva, tanti navigatissimi capitani, gente che aveva solcato i sette mari e non li si incantava certo facilmente: da Pippo Bianchi della Scuderia Salvati a Mario Simone Vullo, da Giampaolo Pavanello a Cesare Fiorio, da Ken Tyrrell a Enzo Ferrari. Senza citare il conte Gughi  Zanon di Valgiurata, il mecenate piemontese che aiutò e favorì anche Lella Lombardi, Ronnie Peterson, Ayrton Senna. Persone specialissime, come Michele, appunto. Credo che Michele Alboreto sarebbe emerso comunque. In qualunque campo avesse deciso di cimentarsi. Troppo grande la statura dell’uomo, troppo nobile la sua anima, troppo generoso il suo cuore per rimanere nell’anonimato.

Lui è una di quelle persone che trascinano gli eventi, così come seppe trascinare

la Tyrrell sul gradino più alto del podio. E’ una di quelle persone che preferiscono far parlare i fatti, i sentimenti, l’enorme forza buona che portano dentro di sé, piuttosto che prodursi in lunghi discorsi vuoti, senza costrutto e, soprattutto, senza seguito concreto.

Ritengo inutile raccontare qui, a degli appassionati di corse navigatissimi, le tappe della carriera sportiva di Michele Alboreto. Lui, oltre ad essere una persona speciale, è uno che guida la Ferrari di F.1. E’talmente amato che anche il mio ottantatreenne genitore, seppur non uno sfegatato di corse, saprebbe raccontarvi di quel 1985, quando Michele Alboreto avrebbe potuto e dovuto diventare campione mondiale di automobilismo di F.1, oltre che di umanità.

La Ferrari turbo di Alboreto in una rievocazione storica a Monza col casco nei colori di Michele

Perché gli fecero perdere quel mondiale davvero non l’ho capita. Non l’ho capita proprio. Dovrò chiederne conto, alla divinità delle corse, quando sarà il momento.

Così come non ho capito perché non ci salì lui, sul gradino più alto del podio, quell’11 settembre 1988, ad un mese dalla scomparsa di Enzo Ferrari. Forse perché trattavasi di un 11 settembre, appunto, data infausta. Tutto questo dopo essere incappato in una gestione John Barnard che era personaggio troppo diverso da Michele perché andassero d’accordo. E sì che rimase alla Ferrari nonostante pressanti richieste di Frank Williams, solo perché glielo chiese Enzo…

Tante volte, troppe, decisamente troppe, il mondo è dei furbi, più che degli onesti e dei puri. Anche se Michele Alboreto, con la sua vita non ci ha insegnato certo questo.

Così come non me lo ha insegnato nemmeno il mio, già citato, anziano genitore. Ai miei figli, invece, ho già raccontato più di una volta, additandola ad esempio, della grande generosità del campione di Rozzano. Generosità unità a passione infinita, sfociate in quella grandissima determinazione che lo hanno portato ai massimi vertici di quello sport che ama così tanto…

Sono sempre e solo sorrisi, quando si parla di Michele. Sorrisi di quelli belli, di quelli caldi. Di quelli che incrinano la voce e ti costringono a quelle pause che non vorresti.

A MONZA QUELLA VOLTA CHE FIRMO’ LA SCIARPA DELL’ATALANTA

Come quella volta, che lo incontrammo a Monza. Era ancora aprile, guarda un po’, e la primavera era dolcissima. Al Tempio della Velocità si stavano svolgendo dei test e Michele li stava conducendo per la Scuderia Ferrari. Eravamo scesi al Tempio con le sciarpe della nostra piccola squadra di calcio del cuore, che, la sera stessa, avrebbe disputato una partita importante, una semifinale della Coppa delle Coppe. Dopo aver fatto un paio di giri attorno alla pista più famosa del mondo, ci appostammo attaccati alle reti che cingevano posteriormente il paddock, nell’intento di fotografare i nostri campioni da vicino, e magari anche di strappare loro qualche autografo.

L’autore del servizio posa a fianco della rossa 27 di Michele

Inutile dire che rimanemmo a lungo oltre la rete nei pressi del motorhome della Scuderia Ferrari. Eravamo abbastanza vicini al pullmann rosso e una certa elettricità ci stava assalendo sempre di più… Ad un tratto, il cuore in gola: arriva Michele! Qualcuno, per attirare la sua attenzione verso di noi, agita la sciarpa neroazzurra. Michele la vede. Ci dice: “Ragazzi, datemi dieci minuti e arrivo.” Qualcuno mi disse che divenni bianco cadaverico. Qualcun altro fece:” Sì, figurati se si ricorda di noi! Lo avrà detto per non sembrare scortese…” Mi tranquillizzai, Pensai, sì, ha ragione lui, lo avrà detto così, per dire… Nessuno, comunque, osò muoversi da lì.

MICHELE USCI’, PRESE LA SCIARPA E GRIDO’ FORZA BERGAMO. 

Dopo pochi minuti, Michele Alboreto, il campione della Ferrari, uscì dal pullmann e, sotto gli occhi divertiti di Pasticcino Montanini e di un paio di fotografi, ci fece: “Dai ragazzi, datemi la sciarpa!” Lui, grande campione di F.1 e, per giunta, interista, sentiva, aveva capito l’entusiasmo che c’era nella nostra piccola città per la nostra piccola squadra e, in tuta ufficiale della Scuderia Ferrari, allargò ben bene la sciarpa dell’Atalanta e scattammo una foto che ci commuove alle lacrime ancora adesso.

Questo è Michele Alboreto. Che diciannove anni fa ha preferito un’altra primavera, non la nostra dei furbi e degli opportunisti. Ha preferito la sua, quella calda davvero, quella dove non esistono allergie ai pollini e neppure agli stronzi. Ha preferito la primavera che lo riportasse e lo tenesse sempre a quella stessa medesima del 1985.

Dove arrivò tre volte al secondo posto e poi vinse in Canada. Dove spiccò davvero il volo. Dove noi, con lui, cominciammo a sognare. Grazie, Michele. Sappiamo che lo hai fatto per noi. E’così bella quella primavera, così calda, così dolce, dove si può, dove si deve solo e soltanto sognare…

 

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